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mi diss’ella un giorno, «abbiamo a casa nostra un convito di nozze; vi divertireste molto, se voleste farci l’onore d‘intervenirvi.» Io mi lasciai persuadere: presi il mio più bell’abito con una borsa di cento pezze d’oro; ed avendola seguita, mi condusse in questa casa, ove trovai quel negro che mi trattenne per forza: sono tre anni che mi trovo qui con mio gran dolore. — Dal modo con cui quell’esecrabile negro agiva,» ripigliò mio fratello, «ci deve aver ammassate grandi ricchezze. — Ve ne sono tante,» ripigliò essa, «che sareste ricco per sempre se poteste portarle via; seguitemi, e le vedrete.» Condusse allora Alnaschar in una camera, ove gli fece in fatti vedere parecchi forzieri pieni d’oro, ch’egli considerò con un’ammirazione, dalla quale non poteva riaversi. — Andate,» gli disse la donna, «e conducete gente bastante da portar via tutto.» Mio fratello non se lo fece dire due volte; uscì, e non rimase fuori se non il tempo sufficiente, di radunare dieci uomini. Li condusse con sè, ma giunto alla casa, rimase assai sorpreso di trovarne aperta la porta, e molto più quando, entrato nella stanza ove aveva veduti gli scrigni, non ne trovò neppur uno. La dama, più scaltra e sollecita di lui, li aveva fatti portar via, ed era ella medesima scomparsa. In mancanza dei forzieri, e per non tornarsene colle mani vuote, fece prendere tutto quello che potè trovare di masserizie nelle camere e nelle guardarobe, ove rinvenne molto più che non occorresse per indennizzarlo delle cinquecento monete d’oro stategli rubate. Ma uscendo dalla casa, dimenticò di chiuderne la porta; i vicini, che avevano riconosciuto mio fratello, e veduti andare e tornare i facchini, corsero ad avvertire il giudice di polizia di quello sloggiamento, ch’era parso loro sospetto. Alnaschar passò la notte tranquillamente; ma l’indomani mattina, mentre usciva di casa, incontrò alla