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vide cader il paniere. — Oh! che uomo indegno sei tu mai!» diss’egli a mio fratello. «Non dovresti morire dalla vergogna di maltrattar così una giovane sposa che non ti diè alcun motivo di lagnanze? Bisogna che tu sia ben brutale per disprezzar così le lagrime ed i vezzi d’una persona, sì amabile. Se io fossi nel gran visir, tuo suocero, vorrei farti dare cento colpi di nervo di bue, e condurti in giro per la città coll’elogio che meriti. —

«Mio fratello, a quel caso sì per lui funesto, rientrò in sè, e comprendendo essergli ciò accaduto pel suo insopportabile orgoglio, si percosse il volto, lacerossi gli abiti, e si mise a piangere, mandando tali strida che fecero accorrere i vicini, e fermare i passaggieri che recavansi alla preghiera del mezzogiorno. Siccome era venerdì, e vi andava più gente che di solito, ebbero alcuni pietà di Alnaschar, mentre altri risero della sua stravaganza. Intanto la vanità ch’erasi messa in testa, sfumò col suo avere, ed egli stava piangendo ancora amaramente la sua sorte, quando una dama di condizione, montata sur una mula riccamente bardata, venne a passare di là, e mossa a pietà dello stato, in cui vedeva mio fratello, domandò chi fosse e perchè piangesse. Le fu detto soltanto essere un povero diavolo, il quale, impiegato il poco denaro che possedeva nell’acquisto d’un paniere di oggetti di vetro, eragli questo caduto, andando così il tutto infranto. Tosto la dama, voltasi ad un eunuco che l’accompagnava, gli disse: — Dategli quello che avete indosso. Obbedì l’eunuco, e mise in mano a mio fratello una borsa di cinquecento pezze d’oro. Alnaschar ebbe a morire dell’allegrezza nel riceverla; impartì mille benedizioni alla dama, e chiusa la bottega, ove più non era necessaria la di lui presenza, tornò a casa.

«Stava egli facendo profonde riflessioni sulla fortuna occorsagli, allorchè udì bussare alla porta. Prima