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e dissi alla moglie che assolutamente voleva uccidere un altro vitello. Colei nulla risparmiò per ismovermi dalla mia risoluzione, ma, malgrado tutte le sue istanze, io stetti fermo, e sol per acchetarla le promisi che l’avrei sagrificato al Bairam dell’anno successivo.
«La mattina dopo, il massaio chiese di parlarmi in segreto. — Vengo,» mi disse, «a darvi una notizia ch’io spero vi sarà grata. Io ho una figlia, la quale coltiva alquanto l’arte magica. Ieri, nel ricondurre a casa il vitello da voi risparmiato, notai ch’ella rise al vederlo, e poco dopo si mise a piangere. Io le chiesi perchè facesse nel medesimo tempo due cose sì contrarie. — Padre,» mi rispos’ella, «questo vitello che voi riconducete è il figlio del nostro padrone. Io risi di gioia scorgendolo ancor vivo, e poscia piansi ricordandomi del sagrificio fatto ieri di sua madre, la quale era cambiata in vacca. Queste due metamorfosi avvennero per gl’incantesimi della moglie del nostro padrone, la quale odiava la madre ed il figlio...» Ecco quanto seppi da mia figlia,» continuò il massaio, «questa è la nuova che vi reco.
«A tal detti, o genio, » proseguì il vecchio, «io vi lascio giudicare del mio stupore. Partii tosto insieme al massaio per parlare io stesso colla di lui figlia. Appena giunto, corsi subito alla stalla ov’era il vitello, il quale, benchè non potesse contraccambiare i miei abbracci, mi ricevè però in modo da convincermi senz’altro esser egli mio figliuolo.
«Frattanto, giunse la figlia del massaio, a cui io dissi: — Buona fanciulla, potete voi restituire a mio figlio l’antica sua forma? — Sì, lo posso,» mi rispose quella. — Ah! se mai vi riuscite,» soggiunsi, «vi fo padrona di tutti i miei averi.» Allora ella, sorridendo, rispose: — Voi siete il nostro padrone, e troppo bene io so quanto vi debbo; ma vi avverto che non posso ritornare vostro figliuolo nel primiero stato