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dice, il quale, senz’altro esame, comandò che sul momento fosse battuto sulle spalle con cento nervate, e poscia lo fe’ girare per la città sur un camello, facendo gridare davanti a lui: «Ecco in qual maniera si castiga chi entrar vuole per forza nelle case.»

«Finita quella passeggiata, fu cacciato dalla città con intimazione di non tornarvi mai più. Alcune persone, incontratolo dopo la sua seconda disgrazia, mi avvertirono del luogo in cui stava, ed io lo andai a prendere, e lo ricondussi segretamente a Bagdad, ove lo aiutai con tutte le piccole mie forze.

«Il califfo Mostanser Billah,» proseguì il barbiere, «non rise tanto di questa storia come delle altre, ed ebbe anzi la bontà di compiangere l’infelice Alcuz. Volle di nuovo farmi dare qualche cosa e congedatemi; ma non lasciando tempo di eseguire il suo ordine, ripigliai la parola, e dissi: — Mio sovrano signore e padrone, voi ben vedete ch’io parlo poco; o poichè vostra maestà mi fece la grazia di ascoltarmi fin qui, abbiate la bontà di voler ancora udire le avventure degli altri miei due fratelli, le quali spero non vi divertiranno meno delle precedenti. Ne potrete far estendere una relazione completa, che non sarà indegna della vostra biblioteca. Avrò dunque l’onore di dirvi che il mio quinto fratello si chiamava Alnaschar...»

— Ma veggo ormai il giorno,» disse Scheherazade a questo passo, e tacque; la notte seguente ripigliò così il suo discorso:


NOTTE CLXXVI


— Sire, il barbiere continuò a parlare in questi termini: