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glio dire, il sangue fece in me il suo dovere. — Andate,» diss’io al massaio, «riconducete a casa questo vitello. Abbiatene cura, e traetene qui tosto un altro.» Quando mia moglie mi udì parlare così, non potè trattenersi dallo sclamare di nuovo: — Che fate voi, marito mio? a mio parere, non sagrificate altro vitello che questo. — Moglie,» io risposi, «non voglio immolarlo, ma bensì fargli grazia; però vi prego di non opporvi.» Con tutto ciò la malvagia donna non volle arrendersi alle mie preghiere; essa odiava troppo mio figlio per acconsentire ch’io lo salvassi. E me ne chiese il sagrificio con tanta insistenza, che fui costretto ad accordarglielo. Legai dunque il vitello, e pigliato il coltello fatale...» Scheherazade cessò qui dal favellare, vedendo sorger l’alba.
— Sorella,» disse allora Dinarzade, «io sono allettata da questa novella, la quale sostiene sì gradevolmente la mia attenzione. — Se il sultano mi concede di vivere anche oggi, ti accerto che quanto sarò per narrarti domani ti recherà maggior diletto.» Schahriar, bramoso di sapere che cosa sarebbe accaduto del figliuolo del vecchio che conduceva la cerva, disse alla sultana, avrebbe udito con piacere per la notte successiva il fine del racconto.
NOTTE V
— Sire,» proseguì Scheherazade sul finire della quinta notte, «il primo vecchio che conduceva la cerva, continuando la sua istoria al genio, ai due vecchi ed al mercadante, così disse: «Io presi adunque il coltello, e stava per immergerlo nel collo a mio figlio, quando egli, volgendo languidamente verso di me i suoi occhi bagnati di lagrime, m’intenerì al punto che non ebbi la forza d’immolarlo. Lasciai cadere il ferro,