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e robusto, ed aveva il vantaggio di vedere ove dirigeva i colpi, ne scagliava di fierissimi or all’uno ed ora all'altro, quando poteva averne il destro, gridando al ladro ancor più forte degli avversari. Accorsero allo strepito i vicini, sfondarono la porta, e durarono non poca fatica a separare i combattenti; ma finalmente essendovi riusciti, chiesero il motivo di quella rissa. — Signori,» gridò allora mio fratello, il quale non aveva mai lasciato il malandrino, «quest’uomo, che tengo, è un ladro, entrato qui con noi per rubarci il poco danaro che abbiamo.» Il ladro, il quale, appena vide comparire i vicini, aveva chiusi gli occhi, si finse cieco, e disse allora: — «Signori, costui è un mentitore; vi giuro, pel nome di Dio e per la vita del califfo, ch’io sono loro socio, e ch’essi ricusano di darmi la mia legittima parte. Si sono posti tutti e tre contro di me, ed io chiedo giustizia.» Non vollero i vicini mescolarsi nella contesa, e condussero i quattro davanti al giudice di polizia.

«Quando furono alla presenza di quel magistrato, il ladro, senza aspettare di essere interrogato, disse, contraffacendo sempre il cieco: — Signore, poichè siete preposto ad amministrare la giustizia in nome del califfo, di cui voglia Iddio far prosperare la potenza, vi dichiarerò che siamo egualmente colpevoli, i miei tre compagni ed io. Ma siccome ci siamo impegnati con giuramento di nulla confessare se non sotto il bastone, se volete sapere il nostro delitto, comandate tosto di farci battere, cominciando da me.» Volle mio fratello parlare, ma gli fu imposto silenzio; posto il ladro sotto il bastone...»

A queste parole Scheherazade, notando ch’era giorno, interruppe il racconto, ripigliandone poi così l’indomani la continuazione: