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salire. — E perchè, sciocco che siete, non rispondete subito quando bussate, e vi si domanda chi è? D’onde nasce che volete dare alle persone l’incomodo di venirvi ad aprire quando vi parlano? — Che cosa intendete dunque fare di me?» disse mio fratello. — Torno a ripetervelo,» rispose il padrone, «non ho nulla da darvi. — Aiutatemi dunque a scendere, come mi aiutaste a salire,» replicò Bakbac. «La scala vi sta davanti,» ripigliò il padrone; «scendete solo, se volete.» Mio fratello si provò a discendere, ma venutogli a mancar il piede verso la metà della scala, sdrucciolò fino in fondo, e si fece molto male alle reni ed alla testa. Alzatosi con fatica, uscì querelandosi e mormorando contro il padrone della casa, il quale rideva assai della di lui caduta.

«Mentre usciva da quella casa, due ciechi suoi compagni che passavano, lo riconobbero alla voce, e fermatisi, gli domandarono cosa avesse. Raccontò egli l’accaduto, e detto pure che non aveva in tutta la giornata ricevuto nulla: — Vi scongiuro,» soggiunse, «ad accompagnarmi a casa, affinchè possa prendere in vostra presenza qualche moneta del denaro che possediamo tutti e tre in comune, per comprarmi da cena.» Acconsentirono i due ciechi, ed egli li condusse a casa.

«Bisogna notare che il padrone della casa, ove mio fratello venne sì maltrattato, era un ladro, uomo naturalmente destro e malizioso. Udite dalla finestra le parole di Bakbac ai compagni, discese, eseguitili, entrò con loro in una casupola, nella quale mio fratello abitava. Essendosi i ciechi seduti, Bakbac disse: — Fratelli, ora bisognerà chiudere la porta, ed osservare che non ci sia qui con noi qualche sconosciuto.» A quei detti, il ladro si trovò imbarazzato; ma scorgendo una corda attaccata per caso alla soffitta, l’afferrò, e si tenne sospeso in aria, mentre i ciechi chiu-