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che meditava, la malvagia donna condusse il mio ragazzo in un luogo remoto. Ivi, co’ suoi malefizi, lo cambiò in vitello e diedelo al mio massaio, raccomandandogli di nutrirlo come un vitello ch’essa diceva aver comperato. Nè il furore di lei limitossi a questa abbominevole azione, ma cangiò anche la schiava in una vacca, e la consegnò pure al massaio.

«Allorchè tornai, le chiesi notizia della madre e del fanciullo. — La vostra schiava è morta,» mi disse, «e quanto a vostro figlio, sono già due mesi che io non lo vedo, e che ignoro cosa ne sia accaduto.» Io fui dolente per la morte della schiava, ma siccome il fanciullo era soltanto sparito, così mi lusingai di poterlo presto ritrovare. Nondimeno trascorsero otto mesi senza ch’ei tornasse, ed io non ne aveva nuova alcuna, quando giunse la festa del gran Bairam (1). Per celebrarla, comandai al massaio di condurmi una delle vacche più grasse onde farne sacrificio. Egli obbedì, e la vacca che mi condusse fu la stessa schiava, la sventurata madre di mio figliuolo. Io la legai, ma mentre accingevami a sagrificarla, ella proruppe in lamentevoli muggiti, e vidi che le scorrevano dagli occhi rivi di lagrime; tal vista mi turbò stranamente, e vinto mio malgrado da un sentimento

  1. Così chiamano i Musulmani le due sole feste d’obbligo ch’essi abbiano nella loro religione. Sono feste mobili, che nello spazio di trentatrè anni cadono in tutti i mesi dell’anno, essendo l’anno musulmano lunare. La prima di queste feste si celebra il primo giorno della luna, che segue quella del Ramazan, ossia quaresima dei maomettani. Questo Bairam dura tre giorni, e può paragonarsi tutt’insieme alla Pasqua degli Ebrei, al nostro carnevale ed al capo d’anno. S’immolano agnelli o buoi; ed è a questa cerimonia che la festa deve il nome di oïd el courbân (festa dei sagrifici.) Il piccolo Bairam (oïd saghir) si celebra il primo giorno del mese di chaw il, in occasione della fine dei digiuni del Ramazan.