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sgrazia il giovane diventasse zoppo. Soddisfece la sultana alla sua curiosità la notte successiva, ripigliando la narrazione in questi termini:


NOTTE CLXVI


— Il sartore, continuando a raccontare al sultano di Casgar la storia da lui cominciata:

«Sire,» disse, «il giovane zoppo proseguì a questo modo: — Siccome io aveva intese le parole dette dal barbiere al cadì, cercai un luogo per nascondermi; ma non seppi trovar meglio d’un gran forziere vuoto, ove mi gettai, chiudendemelo addosso. Il barbiere, avendo frugato da per tutto, non mancò di venire nella camera ov’io stava; accostatosi al forziere, lo aprì, e vistomi colà, lo prese, se lo pose in ispalla e lo portò via: scese quindi da una ripida scala in un cortile che traversò in fretta, e finalmente giunse alla porta di strada. Mentre mi portava, venne disgraziatamente ad aprirsi il forziere; allora, non potendo sopportare la vergogna di essere esposto agli sguardi ed alle fischiate del popolaccio, che ci seguiva, mi slanciai con tanta precipitazione nella via, che mi offesi una gamba in modo che da quel tempo ne rimasi zoppo. Non sentii alle prime tutto il mio male, e tostomi rialzai per sottrarmi con una pronta fuga ai dileggi della plebaglia; gettai anzi manate di denaro, di cui aveva pingue la borsa, e mentre si occupavano a raccoglierlo, io riuscii a scappare per viottoli tortuosi e remoti. Ma il maledetto barbiere, approfittando dell’astuzia di cui m’era servito per isbarazzarmi dalla turba, mi seguì senza mai perdermi di vista, gridando a tutta gola: — Fermatevi, signore, ferma-