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ma aveva bel tempestare ed arrabbiarmi, quel birbone non si sollecitava punto nè poco. Ripigliato alla fine il rasoio, mi rase alcuni momenti; poi, fermandosi d’improvviso: — Non avrei mai creduto, signore,» mi disse, «che foste tanto liberale: comincio a conoscere che in voi rivive il fu vostro padre. Certo, io non meritava le grazie delle quali mi colmate, e vi assicuro che ne serberò eterna gratitudine. Poichè, o signore, dovete sapere, ch’io non ho nulla fuor di quello che mi viene dalla generosità di persone cortesi come voi, ed in ciò assomiglio a Zantut, che stropiccia la gente al bagno; a Saluz che vende fave; ad Akerscha che vende erbe; ad Abu-Mekares, che adacqua le vie per ismorzar la polvere; ed a Cassem, della guardia del califfo: tutti costoro non generano malinconia; non sono stizzosi, nè litiganti; più contenti della loro sorte che lo stesso califfo in mezzo a tutta la sua corte, sono sempre allegri, pronti a cantare e ballare, e ciascuno ha la sua canzone e la sua danza favorita, colla quale divertono tutta la città di Bagdad; ma quello che maggiormente io stimo in loro, è che non sono grandi parlatori, non più del vostro schiavo, il quale ha l’onore di favellarvi. Appunto, sentite, o signore: ecco la canzone e la danza di Zantut, che soffrega la gente al bagno; guardatemi, ed osservate se so imitarlo bene....»
Scheherazade cessò dal parlare, osservando essere già giorno. L’indomani proseguì la narrazione in questi termini:
NOTTE CLXV
— «Il barbiere cantò la canzone e ballò la danza di Zantut,» continuò il giovane zoppo; «e checchè