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STORIA


DEL PRIMO VECCHIO E DELLA CERVA


«Ora dunque,» proseguì il vecchio, «comincerò il mio racconto: vi prego vogliate ascoltarmi con attenzione. Questa cerva che vedete è mia cugina, e di più mia moglie. Essa toccava appena i dodici anni quand’io la sposai, talchè posso dire ch’ella doveva considerarmi non tanto come parente e marito, quanto come padre. Noi convivemmo trent’anni senza mai aver prole, nè la sua sterilità scemò la mia amicizia e compiacenza per lei. Il solo desiderio d’aver figli m’indusse a comperare una schiava, da cui ebbi un figlio (1) che prometteva assai. Mia moglie n’ebbe gelosia, e prese ad odiare la madre ed il fanciullo; ma seppe sì ben celare la sua avversione, ch’io non la conobbi se non troppo tardi. Frattanto mio figlio ingrandiva, ed aveva già dieci anni allorchè fui obbligato di fare un viaggio. Prima di partire, raccomandai la schiava ed il figliuolo alla moglie, della quale non diffidava, e la pregai d’averne cura durante la mia assenza, che durò un anno intero. Ella approfittò di quel tempo per saziare il suo odio, ed appigliatasi alla magia, quando fu abbastanza iniziata in codest’arte diabolica per eseguire l’iniquo disegno

  1. La legge civile presso i Maomettani riconosce egualmente legittimi i figli che procedono dalle tre specie di matrimoni permessi dalla loro religione, secondo la quale si può lecitamente acquistare, noleggiare o sposare una o più donne, di guisa che se un uomo ha un figlio dalla schiava prima di averne dalla sposa, il figlio della schiava è riconosciuto pel primogenito, e gode degl’inerenti diritti ad esclusione di quello della legittima consorte.