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«Ciò detto, volle lasciarci; ma il padrone di casa lo trattenne di nuovo, supplicandolo a rimanere con noi e raccontarci la causa della sua avversione pel barbiere, il quale, in quel frattempo, teneva gli occhi bassi e stava in silenzio. Noi aggiungemmo le nostre preghiere a quelle dell’ospite, e finalmente il giovane, cedendo alle nostre istanze, sedè sul sofà; e volta la schiena al barbiere, per paura di vederlo, ci narrò di tal modo la sua storia:

«Mio padre occupava nella città di Bagdad un grado da poter aspirare alle prime cariche; ma egli preferì sempre una vita tranquilla a tutti gli onori che poteva meritare. Non ebbe fuor di me altra prole, e quando morì, io aveva già formato lo spirito, ed era in età di disporre della pingue sostanza ereditata. Nè la dissipai follemente; anzi ne feci tal uso che mi guadagnò la stima universale.

«Non aveva ancora provato alcuna passione, e lungi dall’esser sensibile all’amore, confesserò, forse a mia vergogna, ch’io evitava con cura qualunque commercio colle donne. Un giorno che mi trovava in istrada, vidi venire alla mia volta una turba di signore; per non incontrarle, entrai in un viottolo vicino, e sedetti sur una panca presso ad una porta. Stava rimpetto una finestra, sulla quale c‘era un vaso di bellissimi fiori, ed io vi teneva gli occhi fissi, quando la finestra si aprì, e vidi comparire una fanciulla, la cui bellezza mi abbagliò. Volse alla prima lo sguardo su di me, ed inaffiando il vaso con una mano più candida dell’alabastro, mi guardò con un sorriso che m’ispirò tanto amore per lei, quanta avversione aveva nutrito fin allora per tutte le donne. Adacquati i fiori e lanciatami un’altra occhiata piena di seduzione, la quale finì di trapassare il mio cuore, rinchiuse la finestra, e mi lasciò in un turbamento ed in un disordine inesprimibili.