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in cui tutti sono bianchi, egli non manca di somigliare ad un Etiope; ma ha l’anima ancor più nera ed orribile del volto.....»

Il giorno, che in quel punto comparve, impedì a Scheherazade di dir più oltre per quella notte; ma la seguente proseguì in tal grisa la sua narrazione:


NOTTE CLVIII


— «Estrema fu la nostra sorpresa a quelle parole,» continuò il sarto, «e cominciavamo a concepir cattiva opinione del barbiere, senza sapere se il giovane forastiero avesse ragione di parlarne a quel modo. Protestammo anzi di non voler soffrire alla nostra tavola un uomo, di cui facevasi sì orribile ritratto. Il padrone di casa pregò lo straniero a manifestarci il motivo che aveva di odiar il barbiere.

«— Signori,» disse allora, il giovane, «sappiate che quel maledetto barbiere è cagione ch’io sia zoppo, e che siami accaduta la più crudele vicenda che immaginar si possa; talchè feci voto d’abbandonare tutti i luoghi ove lo trovassi; non fermandomi neppur in una città ov’egli abitasse: uscito dunque da Bagdad, dove lo lasciai, intrapresi sì lungo viaggio per venir a stabilirmi in questa città, nel mezzo della Gran Tartaria, siccome in luogo nel quale lusingavami di non doverlo mai più vedere. Nonostante, contro ogni mia aspettativa, lo trovo qui: ciò mi costringe, o signori, a privarmi, mio malgrado, dell’onore di restare con voi. Voglio allontanarmi subito oggi dalla vostra città, ed andar a nascondermi, se posso, in luoghi ove costui non venga mai più ad offerirsi a’ miei sguardi.