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invitandolo, a conservarmi la casa, essendo mia intenzione di tornare a Damasco e fermarmi colà per qualche altro anno. Al Cairo non m’accadde nulla che meriti d’esservi raccontato; ma ora di certo rimarrete assai sorpreso, quando udrete l‘avventura che mi toccò di ritorno a Damasco.
«Giunto in questa città, andai a smontare dal gioielliere, il quale mi accolse con giubilo, e volle accompagnarmi in persona fino alla casa, per farmi vedere che, durante la mia assenza, niuno v’era entrato. In fatti, il suggello era ancora intatto sulla serratura. Apersi, e trovai ogni cosa nello stato medesimo, in cui l’aveva lasciata.
«Nel ripulire e spazzar la sala, dove aveva mangiato colle dame, un mio servo trovò una catenella d’oro ov’erano di spazio in ispazio dieci belle perle grossissime; me la portò, ed io la riconobbi per quella da me veduta al collo della giovane dama morta avvelenata. Compresi ch’erasi staccata e caduta senza avvedermene: ma non potei guardarla senza versar lagrime, ricordandomi d’una sì amabile persona, veduta morire in modo sì crudele. La incartocciai, e me la riposi preziosamente in seno.
«Scorsi alcuni giorni a rimettermi dalla fatica del viaggio, cominciai ad andar a trovare le persone colle quali stretto aveva altre volte amicizia, ed abbandonatomi ad ogni sorta di piaceri, insensibilmente scialacquai tutto il mio denaro. In tale situazione, in vece di vendere le masserizie, risolsi di disfarmi della collana, ma m’intendeva sì poco di perle, che mi ci presi malissimo, come in breve intenderete.
«Mi recai al bezestin, e colà tratto in disparte un banditore, e mostratagli la collana, gli dissi ch’io voleva venderla, pregandolo di farla vedere ai primi gioiellieri. Maravigliò il banditore alla vista di quel monile. — Che bella cosa!» sclamò, dopo averla