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l‘immaginazione, che non dormii per tutta la notte. Poco dopo, i miei zii fecero conoscere quant’erano anch’essi colpiti dal discorso di mio padre, perchè gli proposero di fare tutti insieme il viaggio d’Egitto, ed accettata da lui la proposta, siccome erano ricchi mercadanti, risolsero di portar seco merci da esitarvi. Udendo che si apparecchiavano alla partenza, andai a trovare mio padre, e lo supplicai, colle lagrime agli occhi, di permettermi d’accompagnarlo, ed accordarmi un fondo di mercanzia, per farne io stesso lo spaccio. — Sei ancora troppo giovine,» mi disse, «per intraprendere il viaggio d'Egitto: troppo grandi sono i disagi; inoltre son persuaso che ci perderesti.» Tali parole non mi tolsero la voglia di viaggiare, adoprai l’influenza dei miei zii presso il padre mio; ed essi ottennero in fine che andassi soltanto sino a Damasco, ove mi avrebbero lasciato mentre continuavano alla volta d'Egitto. — La città di Damasco,» disse mio padre, «ha pure le sue bellezze, e bisogna si contenti del permesso d’andar fin là.» Benchè immenso fosse il mio, desiderio di vedere l’Egitto, dopo quanto gliene aveva udito dire, egli era mio padre, ed io mi sottoposi al suo volere.
«Partii dunque da Mussul cogli zii e col padre. Traversata la Mesopotamia, valicammo l‘Eufrate, e giunti ad Aleppo, vi soggiornammo alcuni giorni. Di là passando a Damasco, la cui vista mi sorprese gradevolmente, ivi alloggiammo tutti in un medesimo khan. Vidi una città grande, piena di bella gente e ben fortificata. Impiegati più giorni a passeggiare per tutti i giardini deliziosi che abbondano nei dintorni, come possiamo vederli da questo luogo, ci convincemmo aversi ragione di dire che Damasco era in mezzo ad un paradiso. Finalmente i miei zii pensarono a continuare il viaggio, essendosi data prima la briga di vendere le mie merci; il che fecero con tanto