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versi canali del Nilo, se non a brillanti smeraldi incastonati nell’argento. Non è forse il Gran Cairo la città più vasta, la più popolata, la più ricca dell’universo? Quanti magnifici edifizi, pubblici e privati! Se procedete fino alle Piramidi, sarete colpiti da stupore, e rimarrete immobili all’aspetto di quell’ammasso di pietre d’enorme grossezza che s’ergono fino alle nubi! Dovrete confessare esser duopo che i Faraoni, i quali tante ricchezze e tanti uomini impiegarono a costruirlo, abbiano superato tutti i successivi monarchi, non solo d’Egitto, ma anche della terra tutta, in magnificenza ed invenzione, per aver lasciati monumenti sì stupendi della loro memoria. Celesti monumenti, sì antichi, che i dotti non saprebbero indicare il tempo in cui furono innalzati, sussistono oggidì ancora, e dureranno quanto i secoli. Taccio delle città marittime del regno d’Egitto, come Damiata, Rosetta, Alessandria, dove non so quante nazioni vanno a cercare mille sorta di granaglie, di tele, e migliaia di altre cose pel comodo e le delizie degli uomini. Ve ne parlo con cognizione di causa, avendovi scorsi alcuni anni della mia gioventù cui conterò, finchè respiro, pei più piacevoli di tutta la mia vita.»
Scheherazade parlava così quando la luce del giorno, che cominciava a sorgere, venne ad imporle silenzio; ma sulla fine della notte seguente ripigliò essa in questi termini il filo del suo discorso:
NOTTE CLII
— «I miei zii non trovarono nulla da ripetere a mio padre,» proseguì il giovine di Mussul, «intorno alle sue enfatiche descrizioni del Nilo, del Cairo e di tutto il regno d’Egitto. Io intanto n’ebbi sì piena