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rispondere a’ miei trasporti, mi respinse con violenza, prorompendo in grida spaventevoli, che attrassero nella stanza tutte le donne dell’appartamento, le quali vollero sapere il motivo di quel frastuonno. Io intanto, colto da lungo sbalordimento, era rimasto immobile, senza aver nemmeno avuta la forza di domandargliene la cagione. — Cara sorella,» le dissero esse, «che cosa v’è mai accaduto nel breve tempo che vi abbiamo lasciata? Ditecelo, acciò possiamo soccorrervi. — Toglietemi,» gridò colei, «toglietemi dagli occhi quel villanaccio. — Ma, signora,» le dissi io, «in che cosa ebbi mai la sfortuna di meritare la vostra collera? — Siete un villano,» mi rispose infuriata; «avete mangiato aglio, e non vi lavaste le mani! Credete voi ch’io voglia tollerare mi si avvicini un uomo sì sucido per appestarmi? Distendetelo per terra,» soggiunse, rivolgendosi alle donne, «e portatemi un nervo di bue.» Tosto lui rovesciato al suolo, e mentre alcune mi tenevano per le mani, altre pei piedi, mia moglie, stata con sollecitudine servita, mi battè spietatamente finchè le mancarono le forze. Allora disse, alle donne: — Prendetelo; sia mandato al luogotenente di polizia, e gli si faccia tagliare la mano con cui ha mangiato il ragù coll’aglio.» A tal ordine sclamai: — Gran Dio! son tutto affranto dalle percosse, e per sovrappiù mi si condanna a perdere una mano! E perchè? Per aver mangiato un ragù d’aglio, dimenticando poscia di lavarmi le mani! Quanta collera per sì misero argomento! Maledetti siano gl’intingoli d’aglio! Maledetto il cuoco che l’ha preparato, e colui che lo ha servito!....»

La sultana Scheherazade, notando ch’era giorno, fermossi. Schahriar intanto si alzò, ridendo a più non posso della collera della favorita, e curiosissimo d’udire lo scioglimento di questa storia.