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ielli, che a stento poteva camminare: andò essa a sedere sul trono. Dimenticava di dirvi che la sua favorita l’accompagnava, e rimase in piedi alla sua destra, mentre le altre schiave, alquanto più lontane, stavansi in folla ai due lati del trono.

«Seduta la consorte dei califfo, le schiave ch’erano entrate per le prime mi fecero segno d’inoltrarmi. Mi avanzai dunque in mezzo alle due file da esse formate, e mi prosternai colla testa sul tappeto, che stava sotto ai piedi della principessa. Mi comandò questa di rialzarmi, e fecemi l’onore d’informarsi del mio nome, della mia famiglia, dello stato di mia fortuna: cose alle quali soddisfeci abbastanza a suo modo, come potei accorgermene non solo dal suo contegno, ma anche dalle sue parole; — Sono ben contenta,» mi disse, «che mia figlia (così chiamava la sua favorita), poichè la riguardo come tale, dopo la cura da me presa per la sua educazione, abbia fatto una scelta onde la lodo; l’approvo dunque, e acconsento che vi sposiate. Ordinerò io stessa i preparativi delle vostre nozze, ma prima ho bisogno di mia figlia per dieci giorni; durante questo periodo di tempo, parlerò col califfo e ne otterrò l’assenso: intanto voi rimarrete qui: avremo cura di voi...»

Sì dicendo, Scheherazade vide il giorno e cessò di parlare. All’indomane ripigliò di tal guisa il racconto:


NOTTE CXLVII


— «Rimasi dunque dieci giorni nell’appartamento delle dame del califfo,» continuò il mercadante di Bagdad, «e per tutto quel tempo fui privo del piacere di veder la favorita, ma trattato tanto bene