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dolersi della mia disgrazia, non dubitando non mi fosse accaduta per amor suo.

«Allo svegliarmi, lessi sulla di lei fronte il vivo dolore ond’era oppressa; ma pure, per non farmi dispiacere, non mi parlò di cosa alcuna. Mi fe’ servire un consumato di pollo, preparato per suo ordine, e mi fece mangiar e bere, per darmi, diceva, le forze di cui aveva bisogno. Volli poscia accommiatarmi, ma ella, trattenendomi per la veste: — Non soffrirò,» disse, «che usciate di qui. Benchè non me ne diceste nulla, son persuasa di esser io la cagione della vostra disgrazia. Il dolore che ne risento non mi lascerà vivere a lungo; ma prima di morire, è duopo eseguisca un disegno che medito in vostro favore.» Ciò dicendo, chiamati un officiale di giustizia e testimoni, mi fece estendere una donazione di tutti i suoi beni. Congedate poi tutte le persone di servizio e soddisfattele onorevolmente delle loro fatiche aprì un forziere ove trovavansi tutte le borse ch’io le aveva donate fin dal principio dei nostri amori. — Sono tutte intiere,» mi disse; «non ne ho toccato neppur una: prendete, ecco la chiave dello scrigno; voi ne siete il padrone.» La ringraziai della sua generosità e bontà. — Nulla conto,» ripigliò, «quanto feci testè per voi, e non sarò contenta se anche non muoio per dimostrarvi quanto vi amo.» La scongiurai per tutto ciò che l’amore ha di più potente, di abbandonare sì funesta risoluzione; ma non mi riuscì dissuadernela, ed il dolore di vedermi monco, le cagionò una malattia di cinque o sei settimane, della quale morì.

«Pianta quanto doveva la di lei morte, andai al possesso di tutti i suoi beni, ch’essa mi aveva donati; il sesamo che vi prendeste l’incomodo di vendere per me, ne faceva parte...»

Voleva Scheherazade continuare, ma il giorno che