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quel triste stato, non vi avrei trovati i soccorsi dei quali aveva bisogno: ora anche arrischiar molto l’andarmi a presentare alla giovane dama. — Non vorrà forse, più vedermi,» dissi fra me, «quando saprà la mia infamia.» Non tralasciai però d’appigliarmi a tal partito; e perchè la gente che mi seguiva si stancasse d’accompagnarmi, cacciatomi per diverse remote contrade, mi recai finalmente a casa della dama, ove giunsi sì debole e sfinito, che mi buttai sul sofà, coprendo il braccio destro colla veste, poichè mi guardai bene dal farlo vedere.
«Frattanto la dama, avvertita del mio arrivo e del male che soffriva, accorse sollecita, e vedendomi pallido e stravolto: — Anima mia,» disse, «che cosa mai avete? — Signora,» le risposi dissimulando, «son tormentato da un grande mal di capo.» Ne parve afflittissima — Sedete,» ripigliò (essendomi alzato per riceverla), «ditemi come ne foste preso? Stavate tanto bene l’ultima volta ch’ebbi il piacere di vedervi! C’è sicuro qualche altra cosa che mi tenete nascosta; ditemi che è stato.» Siccome stava in silenzio, e che, invece di rispondere, mi cadevano le lagrime dagli occhi: «Non comprendo,» soggiunse, «cosa vi possa affliggere; ve ne avrei dato, senza avvedermene, qualche motivo? O venite forse qui espressamente per annunciarmi che non mi amate più? — Non è questo, signora,» risposi sospirando; «e sì ingiusto sospetto accresce il mio male. —
«Io non poteva risolvermi a svelargliene la vera cagione. Venuta intanto la sera, fu servita la cena, ed essa mi pregò di mangiare; ma non potendomi servire che della mano sinistra, la supplicai di dispensarmene, adducendo per iscusa di non aver appetito. — Vi verrà,» mi disse, «quando m’avrete palesato ciò che mi nascondete con tanta ostinazione.