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bandonarmi alla disperazione, uscii dal khan senza sapere cosa mi facessi, ed andai dalla parte del castello, ov’era molta gente per assistere ad uno spettacolo che dava il sultano d’Egitto. Quando fui giunto al luogo dove stava tutta quella moltitudine, m’introdussi nella folla, e per caso mi trovai vicino ad un cavaliere ben equipaggiato e vestito con isfarzo, il quale teneva all’arcione un sacco semiaperto, da cui usciva un cordoncino di seta verde. Mettendo la mano sul sacco, giudicai che il cordone doveva essere quello d’una borsa. Mentre faceva tale giudizio, passò dall’altra parte del cavaliere un facchino carico di legna, e sì dappresso, che il cavaliere fu obbligato a volgersi verso di lui per impedire che colle legne non lo urtasse e lacerassegli il vestito. In quel momento il demonio mi tentò: presi con una mano il cordone, ed aiutandomi coll’altra ad allargare il sacco, cavai la borsa, senza che alcuno se ne accorgesse; e sentendola pesante, non dubitai fosse piena d’oro o d’argento.
«Passato il facchino, il cavaliere, che probabilmente concepì qualche sospetto di quanto io aveva fatto mentr’egli stava colla faccia rivolta dall’altra parte, mise subito la mano nel sacco, e non trovandovi la borsa, mi diè un tal colpo colla sua mazza d’arme, che mi rovesciò al suolo. Tutti gli astanti, testimoni di siffatta violenza, ne furono sdegnati, ed alcuni anzi afferrarono la briglia del cavallo per arrestare il cavaliere, e chiedergli per qual motivo mi avesse percosso, e perchè facevasi lecito di maltrattar così un musulmano. — Che cosa c’entrate voi?» rispose egli con aspro accento. «Non l’ho fatto senza ragione; è un ladro.» A tali parole, mi rialzai; ed al mio aspetto, prendendo ciascuno le mie parti, gridò ch’era un mentitore, ed essere impossibile che un giovane par mio avesse commosso la mala azione di