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Divozione, dissi al padrone dell’asino di domandare ove fosse la casa ch’io cercava; gliela insegnarono, ed ei mi condusse colà. Smontato alla porta, lo pagai bene e lo congedai, raccomandandogli di notare attentamente la casa, in cui mi lasciava, e di non mancare dal venirmi a prendere la mattina appresso, per ricondurmi al khan di Mesrur.

«Bussai alla porta, e tosto due piccole schiave, candide come la neve e ben vestite, vennero ad aprire. — Entrate,» mi dissero; «la padrona vi aspetta con impazienza. Sono due giorni che non cessa dal parlare di voi.» Entrai nel cortile, e vidi un gran padiglione eretto su sette gradini, contornato da un cancello che lo separava da un giardino di mirabile bellezza. Oltre alle piante, che servivano per abbellimento e per far sol ombra, ve n’era un’infinità d’altre cariche d’ogni sorta di frutti. Mi dilettò il canto di molti uccelli, che mescolavano i loro gorgheggi al mormorio d’uno zampillo d’acqua di prodigiosa altezza, che vedevasi sorgere in mezzo ad un suolo smaltato di fiori. Era inoltre quella fontana bellissima a vedersi: quattro dragoni dorati stavano agli angoli della vasca quadrata, versando acqua in abbondanza, ma più chiara del cristallo. Cotesto luogo di delizie mi fe’ concepire un’alta idea della mia conquista. Le due picciole schiave mi fecero entrare in una sala magnificamente addobbata, e mentre una corse ad avvertire del mio arrivo la padrona, l’altra rimase con me, facendomi notare tutte le bellezze della sala...»

Terminando queste ultime parole, Scheherazade, vedendo l’aurora, cessò di parlare; e la notte seguente essa ripigliò in codesti sensi:


Mille ed una Notti. II. 3