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dine stranissimo, e prima di lasciare il mercatante, gli domandai se conosceva la dama. — Sì,» mi rispose; «e la figlia d’un emiro, il quale, morendo, le lasciò beni immensi. —

«Di ritorno al khan di Mesrur, la mia gente mi servì da cena; ma non potei mangiare, nè neppure chiuder occhio per tutta la notte, la quale mi parve la più lunga della mia vita. Appena fu giorno, mi alzai nella speranza di rivedere l’oggetto che turbava il mio riposo, e col disegno di piacergli, abbigliatomi più bene del giorno precedente, tornai alla bottega di Bedreddin....»

— Ma, sire,» disse Scheherazade, «l’aurora che veggo sorgere m’impedisce di continuare.» Ciò detto, tacque; e la notte seguente ripigliò in questi termini la narrazione:


NOTTE CXXXIV


— Sire, il giovane di Bagdad, raccontando le sue avventure al mercadante cristiano, così continuò: «Era poco tempo che mi trovava nella bottega di Bedreddin, quando vidi venire la dama, seguita dalla schiava, e più magnificamente venuta del giorno precedente. Non badò al mercante, e dirigendosi a me solo: — Signore,» mi disse, «voi vedete che sono esatta a mantenere la mia parola di ieri. Vengo espressamente onde portarvi la somma, di cui vi compiaceste rispondere per me senza conoscermi, per un tratto di generosità che non dimenticherò mai: — Signora,» le risposi, «non c’era bisogno di affrettarvi tanto: io stava senza inquietudine pel mio denaro, e mi spiace della pena che vi siete presa. — Non era