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zienza di ascoltarmi, conoscerete il vero uccisore del gobbo. Se la sua morte dev’essere espiata con un’altra, certo sarà questa la mia. Ieri, verso il tramonto, mentre lavorava in bottega, ed era d’umore di star allegro, giunse il gobbo mezzo briaco, e sedutosi, cantò qualche tempo, finchè gli proposi di venire a passar la sera in casa mia. Acconsentì colui, ed io ve lo condussi. Ci mettemmo a tavola, e lo servii d’un pezzo di pesce, mangiando il quale una spina od un osso che sia, gli si attraversò nella gola, e malgrado tutte le mie premure e di mia moglie per soccorrerlo, morì in pochissimo tempo. Fummo assai afflitti della sua morte, e per timore d’esserne incolpati, portammo il cadavere alla porta del medico ebreo. Bussai, e dissi alla fantesca che venne ad aprire, di salir subito a pregare da parte nostra il suo padrone a voler discendere per vedere un malato che gli si conduceva; ed acciò non ricusasse di venire, la incaricai di consegnargli una moneta d’argento che le diedi. Appena fu essa riascesa, portai il gobbo in cima alla scala, sul primo gradino, e tosto uscimmo, mia moglie ed io, per ritirarci a casa. Il medico, volendo scendere all’oscuro, fe’ rotolar giù dalla scala il gobbo; talchè ciò gli ha fatto credere d’esser l’origine della sua morte. Or dunque, vi prego di lasciar andare il medico, e farmi morire in sua vece. —

«Il luogotenente di polizia e tutti gli spettatori non potevano abbastanza ammirare gli strani avvenimenti, da’ quali era stata seguita la morte del gobbo. — Lascia dunque libero il medico,» disse il giudice al boia, «ed impicca il sarto, giacchè confessa il suo delitto. Bisogna però convenire che questa storia è molto straordinaria, e merita d’essere scritta in lettere d’oro.» Avendo il carnefice posto in libertà il medico, passò la corda intorno al collo del sartore...

— Ma, sire,» disse Scheherazade, interrompendosi