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«Cara sorella, se non dormi, ti supplico, attendendo il giorno, che in breve apparirà, di raccontarmi una di quelle belle storielle che sai.» Tosto io ne narrerò una, ed ho fiducia di liberare per tal mezzo tutto il popolo dalla costernazione ond’è oppresso.» Dinarzade rispose alla sorella che avrebbe fatto con piacere quanto da lei esigeva.
Venuta in fine l’ora di caricarsi, il gran visir condusse Scheherazade al palazzo, ed introdottala nell’appartamento del sultano, si ritirò. Non appena si vide il principe con lei, le ordinò di scoprirsi il volto, e trovandola sì bella ne rimase allettato, ma accortosi che piangeva, gliene chiese il motivo. — Sire,» rispose Scheherazade «io ho una sorella che amo tanto teneramente quanto ne sono riamata. Bramerei ch’ella passasse la notte in questa camera, per vederla e dirle un’altra volta addio. Vorreste permettere ch’io avessi la consolazione di darle quest’ultimo attestato della mia amicizia?» Avendo Schahriar acconsentito, si mandò a cercare Dinarzade, che venne sollecitamente. Il sultano si coricò con Scheherazade sopra un palco altissimo all’uso dei monarchi d’Oriente, e Dinarzade in un letto ch’erale stato preparato vicino.
Un’ora prima di giorno, svegliatasi Dinarzade, non mancò di fare quanto avevale raccomandato la sorella. — Mia cara sorella,» sclamò essa, «se non dormi, ti supplico, attendendo il giorno, che non tarderà molto ad apparire, di narrarmi una di quelle graziose storielle che sai. Aimè! temo sarà forse questa l’ultima volta che avrò tal diletto.»
Scheherazade, invece di rispondere alla sorella, si volse al sultano: — Sire,» gli disse, «si degna vostra maestà permettermi di dare questa soddisfazione a mia sorella? — Assai volentieri,» rispose il sultano. Allora Scheherazade disse alla sorella d’ascoltare, e volgendo la parola a Schahriar, cominciò di tal modo: