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gli faceva il suo gran visir. — Come avete potuto,» gli disse, «risolvervi a darmi la vostra propria figliuola? — Sire,» rispose il visir, «ella si offerta da sè medesima, nè il tristo fine che l’aspetta, ha potuto spaventarla, preferendo ella alla vita l’onore d’essere per una sola notte sposa di vostra maestà. — Non v’illudete, o visir,» riprese il sultano; «domani nel riconsegnarvi Scheherazade, esigo che abbiate a torle la vita. Se vi mancaste, guai, giuro di farvi morire voi medesimo. — Sire,» tornò a dire il visir, «il mio cuore gemerà, di certo, nell’obbedirvi: ma mormori pur la natura benchè padre, io vi rispondo d’un braccio fedele.» Accettò Schahriar l’offerta del ministro, e gli disse di condurgli, quando a lui fosse piaciuto, la figliuola.

Il gran visir andò a portarne la nuova a Scheherazade, la quale la ricevette con tanta gioia quasi stata fosse la più gradevole del mondo. Ringraziò il padre di averla esaudita, e vedendolo oppresso dal dolore, per consolarlo dissegli, sperare ch’ei non si sarebbe pentito d’averla maritata col sultano, anzi avrebbe argomento di rallegrarsene pel resto della vita.

Essa non pensò dunque più che a mettersi in istato di comparire al cospetto del sultano; ma prima di partire, prese in disparte la sorella Dinarzade, e così le parlò: — Mia cara sorella, ho bisogno del tuo aiuto in un affare importantissimo; ti prego a non negarmelo. Mio padre mi condurrà fra poco al sultano per esserne la sposa. Che questa nuova non ti spaventi; solo ascoltami con pazienza. Appena sarò davanti al sultano, lo supplicherò di permettere che tu dorma nella camera nuziale, ond’io possa godere ancor questa notte della tua compagnia. Se ottengo tal grazia, siccome spero, ricordati di svegliarmi domattina un’ora prima di giorno, e volgermi queste parole: