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erigi subito un palo. — Eh, signore!» disse Bodreddin; «che cosa intendete fare di questo palo? — Attaccarviti,» ripigliò il visir, «e farti quindi girare per tutti i quartieri della città, acciò si vegga nella tua persona un indegno pasticciere che fa torte di crema senza mettervi pepe.» A tali parole, Bedreddin sclamò in una maniera sì buffa che Schemseddin durò gran fatica a mantener la serietà: — Gran Dio! è dunque per non aver messo pepe in una torta di crema, che mi vogliono far soffrire una sì crudele ed ignominiosa morte?»

A tali parole, Scheherazade, notato ch’era giorno, tacque, e Schahriar si alzò, ridendo di tutto cuore dello spavento di Bedreddin, e curiosissimo di udire il seguito di questa storia, cui la sultana ripigliò di tal modo l’indomani:


NOTTE CXX


— Sire, il califfo Aaron-al-Raschid, malgrado la sua gravità, non seppe frenarsi dal ridere, quando il visir Giafar gli disse che Schemseddin Mohammed minacciava di far morire Bedreddin per non aver messo pepe nella torta di crema venduta a Schaban.

— Come!» diceva Bedreddin; «si avrà infranto e distrutto ogni cosa in casa mia; m’avranno imprigionato in una cassa, e finalmente si apparecchieranno ad appendermi ad un palo, e ciò perché non metto pepe in una torta di crema? Buon Dio! chi ha mai inteso parlare d’una cosa simile? Son questo azioni da musulmani, da uomini che fan professione di probità, di giustizia, ed esercitano ogni sorta di buone opere?» Sì dicendo, struggevasi in lagrime; poi, ricominciando le querele: «No,» rîpiglìava, «mai alcuno non fu