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più propri ed irritare il visir contro il delinquente, che a farne scusare il fallo.

«Schemseddin, iracondo per natura, non perdè sì bella occasione di montar sulle furie, e recatosi subito alla tenda della cognata, disse all’eunuco: — Come, sciagurato! hai l’ardire d’abusar della fiducia in te riposta?» Schaban, benchè a sufficienza convinto dalla testimonianza di Agib, si appigliò di nuovo al partito di negar il fatto. Ma il fanciullo, sostenendo sempre il contrario: — Nonno,» disse a Schemseddin, «vi accerto che ne abbiamo sì ben mangiato amendue, che possiamo tralasciar di cenare; il pasticciere ci ha regalata anche una bella tazza di sorbetto. — Ebbene, iniquo schiavo;» gridò il visir, volgendosi all’eunuco, «dopo ciò non vuoi tu convenire d’essere entrambi entrati in casa d’un pasticciere ed avervi mangiato?» Schaban ebbe ancora la sfrontatezza di negare. — Sei un mentitore,» gli disse allora il visir; «credo più a mio nipote che a te. Pure, se tu sei capace di mangiar tutta la torta che si trova su questa tavola, sarò persuaso che tu dica la verità. —

«Schaban, benchè ne avesse fino alla strozza, si assoggettò alla prova, e prese un pezzo di torta; ma fu costretto a togliersela di bocca, poichè gli si rivoltava lo stomaco. Pur non tralasciò di mentire di nuovo, asserendo di aver tanto mangiato il giorno precedente, da non essergli tornato ancor l’appetito. Il visir, irritato di tutte le menzogne dell’eunuco, e convinto della sua reità, lo fe’ distendere per terra, e comandò di bastonarlo. Gridava l’infelice ad alta voce, soffrendo quel castigo, e confessò la verità. — È vero,» sclamò, «che abbiamo mangiato da un pasticciere una torta di crema, e giuro che valeva le cento volte meglio di questa. —

«La vedova di Nureddin Alì credè fosse per di-