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recate alle sue tende, Agib pregò l’eunuco negro, suo aio, di condurlo a passeggiare nella città, dicendo che desiderava di veder le cose, cui non aveva avute tempo di osservare passando, e che gli sarebbe piaciuto aver notizie del pasticciere, da lui ferito col sasso. Acconsentì l’eunuco, ed andò seco lui nella città, avendone ottenuto il permesso da sua madre Fior di Bellezza.

«Entrati in Damasco per la porta del Palazzo, che era la più vicina alle tende del visir, percorsero le piazze, i luoghi pubblici e coperti, ove vendevansi le più preziose merci, e videro l’antica moschea degli Ommiadi (1), mentre vi si stava facendo la preghiera del dopo pranzo. Passarono poi davanti alla bottega di Bedreddin Hassan, che trovarono ancora occupato a far torte di crema. — Vi saluto,» gli disse Agib; «guardatemi: non vi ricordate di avermi veduto?» A quei detti, volse Bedreddin gli occhi su di lui, e riconosciutolo (oh prodigioso effetto dell’amor paterno!), provò l’emozione medesima della prima volta; talchè turbandosi, invece di rispondergli, rimase a lungo senza poter preferire una sola parola. Alla fine riavutosi: — Signorino,» gli disse, «fatemi la grazia di entrare un’altra volta qui da me col vostro aio: venite ad assaggiare una torta di crema. Vi supplica di perdonarmi il dispiacere che vi feci seguendovi fuor della città: non sapeva cosa mi facessi; ma mi trascinavate dietro di voi senza poter resistere a sì dolce violenza...»

Cessò qui Scheherazade di parlare, vedendo spuntare l’alba. Il dì dopo ripigliò di tal modo la continuazione della storia:


  1. Nome dei califfi di Damasco, che lor derivava da Ommiah, uno de’ loro antenati.