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di permettervelo. — Forse,» rispose Agib, «costui potrà realmente aver qualche cosa da fare fuor di città; e le strade sono libere per tutti.» Ciò dicendo, continuarono a camminare senza guardarsi indietro, finchè giunti vicino alle tende del visir, si volse Agib per vedere se Bedreddin tuttavia li seguisse. Allora, scorgendolo due passi da lui distante, arrossì ed impallidì a vicenda secondo i diversi sentimenti che lo agitavano, temendo che il visir suo avo venisse a sapere come foss’egli entrato nella bottega d’un pasticciere e vi avesse mangiato. In questo timore, dato di piglio ad un sasso che si trovò tra’ piedi, glielo scagliò, e colpitolo in mezzo alla fronte, gli coprì il volto di sangue; quindi, mettendosi a correre disperatamente, entrò sotto le tende insieme all’eunuco, il quale gridò a Bedreddin che non doveva lagnarsi di quella disgrazia, avendosela meritata e pronunciata da sè medesimo.

«Bedreddin tornò verso la città tergendo il sangue della ferita col grembiale che non erasi levato. — Feci male,» diceva fra sè, «ad abbandonare la mia casa per dar tanta noia a quel ragazzo; egli non mi ha di certo trattato in tal guisa se non perchè avrà creduto ch’io meditassi contro di lui qualche funesto disegno.» Giunto a casa, si fece medicare, e consolossi di quel sinistro, riflettendo, esservi sulla terra un’infinità di persone molto più disgraziate di lui...»

Il giorno che spuntava impose silenzio alla sultana delle Indie.


NOTTE CXIV


Sulla fine della notte seguente, Scheherazade, volgendo la parola al sultano: — Sire,» disse, «il gran