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morto da qualche anno, lasciandogli in eredità la bottega con tutti gli altri suoi beni; Bedreddin dunque n’era allora il padrone, e vi esercitava con tanta abilità la professione di pasticciere, che in Damasco godeva d’alta fama. Ora, vedendo egli che tutta la gente raccolta davanti al suo negozio guardava con molta attenzione Agib e l’eunuco negro, si mise a considerarli anche lui..»

Scheherazade, a tali parole, vedendo comparire il giorno, tacque; e verso il finir della successiva notte, così ripigliò:


NOTTE CXII


— «Bedreddin Hassan,» proseguì il visir Giafar, «avendo volti gli occhi specialmente su Agib, si sentì subito tutto commosso, senza saperne il motivo, non restando egli colpito, come il volgo, dalla splendida venustà del giovinetto; il suo turbamento e la sua emozione avevano un’altra ignota cagione: era la forza della consanguineità che agiva in quel tenero padre. Interrompendo allora le sue occupazioni, si avvicinò ad Agib, e gli disse con far cortese: — Signorino, che mi avete soggiogata l’anima, fatemi la grazia di entrare nella mia bottega e mangiarvi qualche cosa di mia composizione, acciò io abbia intanto il piacere di rimirarvi a mio bell’agio.» E pronunciò queste parole con tale tenerezza, che gliene vennero le lagrime sul ciglio. Il giovinetto ne fu commosso, e voltosi all’eunuco: — Questo buon uomo,» gli disse, «ha una fisonomia che mi piace, e mi parla in modi sì affettuosi, che non posso rifiutarmi a fare, quanto egli desidera. Entriamo, e mangiamo de’ suoi pasticcetti.