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«Quando il giovine Agib ebbe compita l’età di sette anni, il visir, invece di fargli insegnare a leggere in casa, lo mandò alla scuola presso un dotto maestro, ove due schiavi avevano cura di condurlo e ricondurlo ogni giorno. Agib giuocava co’ compagni i quali, essendo tutti di condizione inferiore alla sua, avevano per lui molta deferenza, regolandosi sull’esempio del maestro, il quale condonavagli molte cose, cui ad essi non perdonava. La cieca compiacenza usata per Agib lo perdette: diventò altiero ed insolente, e voleva che i suoi compagni tutto sopportassero da lui, senza voler nulla soffrire da loro. Dominava da per tutto; e se qualcuno aveva l’ardire di opporsi a’ suoi voleri, lo caricava d’invettive, spesso anche maltrattandolo. Finalmente, resosi insopportabile a tutti gli scolari, se ne lagnarono essi al maestro e li esortò questi sulle prime ad aver pazienza, ma quando vide che non faceva se non aumentare in tal guisa l’insolenza di Agib, stanco egli stesso dei disturbi che gli recava: — Figliuoli,» disse agli scolari, «ben veggo che Agib è un insolente; v’insegnerò io il mezzo di mortificarlo in guisa che non vi tormenterà più; anzi credo che più non ardirà comparire alla scuola. Domani, quando sarà giunto, e che vorrete giuocare insieme, fategli cerchio intorno, e qualcuno dica ad alta voce: «Vogliamo giuocare, ma colla condizione, che chi giuocherà dovrà dire il suo nome e quello de’ suoi genitori. Riguarderemo come bastardi coloro che ricuseranno di farlo, e non tollereremo che giuochino con noi. —

«Il maestro fece comprendere a tutti l’imbarazzo in cui allora avrebbero posto Agib, ed essi pieni d’allegrezza, ritiraronsi alle case loro.

«Il giorno dopo, quando furono tutti riuniti, non tralasciarono di fare ciò che lor aveva insegnato il maestro, e circondando Agib, uno fra gli altri, pre-