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«Schemseddin Mohammed tornò alla stanza della figliuola, più stupito ed incerto di prima su che voleva sapere. — Ebbene, figlia ingannata,» le disse, «non potreste meglio illuminarmi sur un’avventura che mi rende attonito e mi confonde? — Signore,» essa rispose, «non posso manifestarvi altra cosa oltre quanto ebbi l’onore di dirvi. Ma ecco gli abiti del mio sposo, ch’egli lasciò su questa sedia; forse serviranno a darvi gli schiarimenti che bramate.» Sì dicendo, presentò il turbante di Bedreddin al visir, il quale, avendolo preso, e ben esaminato da tutte le parti: — Lo piglierei,» disse, «per un turbante di visir, se non fosse alla moda di Mussul.» Indi, avvedutosi di qualche cosa cucita fra la stoffa e la fodera, chiese le forbici, e scucitolo, vi trovò una carta piegata. Era la memoria che Nureddin Alì aveva, morendo, consegnata a Bedreddin suo figliuolo; il quale tenevala nascosta in quel sito per meglio conservarla. Avendo Schemseddin Mohammed spiegata la carta, riconobbe il carattere di Nureddin Alì suo fratello, e vi lesse questo titolo: A mio figlio Bedreddin Hassan. Prima che potesse fare le sue riflessioni, la figlia gli pose in mano la borsa da lei trovata sotto l’abito, ed apertala, il visir trovò ch’era piena di zecchini, come già dissi, poichè, malgrado le largizioni di Bedreddin, ell’era sempre rimasta piena per cura del genio e della fata. Lesse sulla soprascritta della borsa queste parole: Mille zecchini di ragione dell’ebreo Isacco; e quest’altre di sotto, scritte dall’Ebreo prima di separarsi dal giovine: Pagati a Bedreddin Hassan pel carico da lui vendutomi del primo dei vascelli già appartenemi a Nureddin Alì suo padre, di felice memoria, quando approderà in questo porto.

«Non aveva ancor finito di leggere, che mandò un grido, e svenne...»

Voleva Schehemzade continuare, ma sorgendo l’alba,