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dove colui si trovava, e presa la figura d’un grosso gatto nero, si mise a miagolare spaventosamente. Il gobbo gridò, e battè le mani per farlo fuggire; ma il gatto, invece di ritirarsi, si rizzò sulle zampe, fece brillare due occhi accesi, e guardò fieramente il gobbo, miagolando più forte di prima, e ingrossando in modo che in breve apparve grosso come un asino. Il gobbo, a tal vista, volle gridar aiuto; ma la paura avevalo tratto sì di senno, che rimase colla bocca aperta senza poter proferir parola. Per non dargli riposo, cangiossi tosto il genio in un forte bufalo, e sotto tal forma, gli gridò con voce, che ne raddoppiò la paura: «Brutto gobbo!» A tali parole, l’atterrito palafreniere cadde al suolo, e coprendosi colla veste il capo, per non vedere quello spaventoso animale, rispose tremando: — Principe sovrano dei bufali, che volete da me? — Guai a te,» gli replicò il genio; «tu hai la temerità d’osar di sposare la mia innamorata? — Ehi signore,» disse il gobbo, «vi supplica di perdonarmi: se sono colpevole, ciò fu per mera ignoranza; io non sapeva che quella dama avesse un bufalo per amante. Comandatemi ciò che volete, e vi giuro che son pronto ad obbedirvi. — Per la morte,» replicò il genio, «se tu esci di qui, se non stai in silenzio, se ti sfugge una parola fino al sorger del sole, ti schiaccerò la testa. Allora ti permetto d’uscire di questa casa; ma ti ordino di ritirarti presto senza guardar indietro, e se tu avessi l’audacia di tornarvi, ti costerà la vita.» Finite queste parole, il genio si trasformò in uomo, prese il gobbo pei piedi, ed alzatolo colla testa all’ingiù contro il muro: — Se, ti muovi,» soggiunse, «prima che si alzi il sole, come t’ho già detto, ti prenderò pei piedi, e ti fracasserò il capo contro la parete. —

«Ora, per tornare a Bedreddin Hassan, incoraggiato egli dal genio e dalla presenza della fata, entrò