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nota del traduttore francese.
Le notti CI e CII trovansi nell’originale impiegate nella descrizione di sette abiti e sette acconciature diverse che la figlia del visir Schemseddin Mohammed cangiò al suono degli stromenti. Siccome tal descrizione non mi parve dilettevole, e d’altronde va sparsa di versi che hanno, a dir vero, la loro bellezza in arabo, ma che non sarebbe abbastanza apprezzata dagli Europei, non ho stimato opportuno di tradurre quelle notti.
NOTTE CIII
— Sire,» disse Scheherazade al sultano dell’Indie, «vostra maestà non avrà certo dimenticato essere il gran visir Giafar che parla al califfo Aaron-al-Raschid.
«Ogni volta,» proseguì egli, «che la sposa cangiava d’abito, alzavasi dal suo posto, e seguita dalle donne, passava davanti al gobbo senza degnarsi di guardarlo, andando a presentarsi a Bedreddin Hassan, onde farsi da lui vedere ne’ nuovi suoi abbigliamenti. Allora Bedreddin, secondo le istruzioni avute dal genio, non mancava di metter la mano nella borsa e cavarne pugni di zecchini, che distribuiva alle donne del seguito della sposa. Ne dimenticava i suonatori ed i ballerini, gettandone anche a loro a piene mani; era un diletto il vedere come sospingevansi l’un l’altro per raccoglierli, attestendogliene riconoscenza, e dinotandogli, con cenni, come avrebber voluto che la giovane sposa fosse piuttosto sua che del gobbo.