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«Era questa sfarzosamente abbigliata, ma le si leggeva sul volto un languore, o, a meglio dire, una tristezza mortale, di cui non era difficile indovinar la cagione, vedendole a fianco un marito sì deforme e poco degno dell’amor suo. Il trono di que’ mal accoppiati sposi sorgeva in mezzo d’un sofà. Le mogli degli emiri, dei visiri, degli officiali della camera del sultano, e varie altre dame della corte e della città, sedevano da ciascun lato alquanto più basso, ognuna secondo il proprio grado, e tutte vestite con tale sfarzo, ch’era una maraviglia a vederle. Portavano esse faci accese.

«Allorchè videro entrare Bedreddin Hassan, tutte gli fissarono addosso gli occhi; ed ammirandone la taglia, la presenza e la leggiadria del volto, non potevano saziarsi dal guardarlo. Quando fu seduto, non ve n’ebbe una che non lasciasse il suo posto, e gli si avvicinasse per considerarlo più davvicino; nè alcuna, che, ritirandosi, non si sentisse agitata da un tenero sentimento.

«La differenza che passava tra Bedreddin Hassan ed il palafreniere gobbo, la cui figura faceva orrore, suscitò un mormorio nell’assemblea. — A quel bel giovanotto,» sclamarono le dame, «dobbiam dare la nostra sposa, e non a quel brutto gobbaccio.» Nè qui fermaronsi, ma ardirono anche imprecare contro il sultano, il quale, abusando dell’assoluto suo potere, univa la deformità alla bellezza; e copersero pure d’invettive il gobbo, facendogli perdere contegno, con gran diletto degli spettatori, le fischiate de’ quali interruppero per un pezzo la sinfonia, che risuonava nella sala. Finalmente ricominciarono i suonatori i loro concerti, e le donne che avevano vestita la fidanzata, le si accostarono...»

Pronunciando queste ultime parole osservò Scheherazade ch’era giorno, e tosto tacque; la notte seguente così ripigliò il suo discorso: