Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/360


340

si fece venire dinanzi un suo palafreniere, gobbo davanti e di dietro, e brutto da far paura; ed imposto a Schemseddin Mohammed di acconsentire al matrimonio di sua figlia con quello schiavo, fece in sua presenza estendere e firmare il contratto dai testimoni. I preparativi di queste bizzarre nozze sono finiti, e all’ora che vi parlo, tutti gli schiavi dei signori della corte d’Egitto stanno alla porta di un bagno, ciascuno con una fiaccola in mano, attendendo che il palafreniere gobbo, il quale vi sta lavandosi, n’esca, per condurlo dalla sposa, che, da parte sua, è già vestita. Quando sono partita dal Cairo, le dame adunate disponevansi a condurla, con tutti i suoi ornamenti nuziali, nella sala ove deve ricevere il gobbo, ed in cui essa presentemente lo aspetta. L’ho veduta, e vi assicuro che non si può mirarla senza maraviglia. —

«Allorchè ebbe la fata finito di parlare, il genio soggiunse: — Checchè possiate dire, non so persuadermi che la bellezza di codesta fanciulla superi quella di questo giovane. — Non voglio contrastarvelo,» replicò la fata; «vi confesso ch’ei meriterebbe di sposare la vezzosa persona destinata al gobbo; e mi sembra faremmo opra degna di noi, se, opponendoci all’ingiustizia del soldano d’Egitto, potessimo sostituire questo giovine allo schiavo. — Avete ragione,» rispose il genio; «non sapreste credere quanto mi piaccia il pensiero che vi è venuto. Deludiamo, vi accensento, la vendetta del sultano d’Egitto, consoliamo un padre afflitto, e facciamo sua figlia tanto felice quanto si crede disgraziata. Nulla tralascerò dal canto mio per incarnare simile disegno, e son certo che anche voi non vi risparmierete. Intanto m’incarico di portarlo al Cairo senza che si risvegli, e vi lascio la cura di trasferirlo altrove, quando avremo eseguita la nostra impresa. —

«Quando la fata ed il genio ebbero insieme con-