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nirlo come meritava: — Va,» disse al bifolco, «prendi l’asino invece del bue, e cerca di farlo stare ben in esercizio.» Il bifolco obbedì, e l’asino fu costretto a tirar l’aratro tutto il giorno, con tanta maggior fatica in quanto che non era avvezzo a tal lavoro. Inoltre ei buscossi tante bastonate, che nel ritorno mal poteva reggersi in piedi.
«Intanto il bue era contentissimo, avendo mangiato quanto conteneva il truogolo e preso riposo fino a sera; rallegravasi assai d’aver seguito i consigli dello Svegliato, benedicendolo mille volte pel bene procuratogli, e quand’esso tornò, gli diresse un bel complimento cui l’asino non rispose, tanto era indispettito pei sofferti maltrattamenti. — Fu la mia imprudenza,» diceva tra sè, «che mi procurò tal disgrazia. Io viveva felice, tutto mi sorrideva, ogni mio desiderio era soddisfatto. È mia colpa se caddi in sì deplorabile stato; e se la mia accortezza non mi suggerisce qualche spediente, io sono perduto.» Sì dicendo, gli mancarono le forze, e cadde semivivo a piè della mangiatoia.» A tal punto il gran visir, volgendosi a Scheherazade, le disse: — Figlia mia, tu vuoi fare come quell’asino, e ti esponi a perire per la tua falsa prudenza. Credi a me, rimanti tranquilla, e non cercar d’affrettare la tua morte. — Padre,» rispose Scheherazade, «l’esempio che mi narraste non vale a smovermi dal mio proposito: io non cesserò dall’importunarvi, finchè non abbia ottenuto d’essere presentata al sultano in isposa.» Il visir, scorgendola ferma sempre nella sua deliberazione, rispose: — Orsù, giacchè sei tanto ostinata, mi vedrò costretto di trattarti come il mercante trattò la propria moglie poco tempo dopo, ed ecco in qual guisa:
«Quel mercante avendo saputo che l’asino era in lagrimevole stato, fu curioso di sapere che cosa accadrebbe tra esso ed il bue; cosicchè dopo cena uscì