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delle bestie, sotto condizione però di non poterlo spiegare a nessuno, pena la vita.

«Or dunque stavano alla medesima mangiatoia un bue ed un asino. Un dì che il mercante era seduto vicino a codesti animali, dilettandosi ai trastulli dei suoi fanciullini, udì che il bue diceva all’asino: — Ehi, lo Svegliato, quand’io considero la pace di cui godi, ed il poco lavoro che ti è imposto, affè, invidio davvero la tua felicità! Un uomo ti stregghia accuratamente, ti lava, ti porge orzo ben purgato, ed acqua fresca e limpida. La tua maggior fatica è di portare il mercante nostro padrone, allorchè deve fare qualche viaggetto: in caso diverso tu poltriresti nell’ozio; mentre io invece quanto sono diversamente trattato! e posso dire che la mia condizione è tanto trista, quanto gradevole la tua. È ancor mezzanotte che m’aggiogano ad un aratro, e mi costringono a trascinarlo per tutto il dì solcando la terra; sì che talora mi vengono meno le forze. Inoltre il bifolco che mi sta dietro, mi va stimolando e battendo di continuo. Guarda com’ho scorticato il collo dal giogo; nè qui è tutto: dopo aver lavorato da mane a sera, al mio ritorno mi mettono dinanzi poche cattive fave secche, non ancor pulite dalla terra, od altre cose che non valgon meglio. Per colmo di miseria, allorchè sono pasciuto d’un sì meschino alimento, mi veggo costretto a passar la notte sdraiato nel mio sterco. Or vedi se non ho ragione d’invidiare la tua sorte.

«L’asino lasciò parlare a suo bell’agio il bue, e quand’ebbe finito, così rispose: — Voi non ismentite il nome d’idiota che vi fu imposto: siete troppo sempliciotto, vi lasciate menar pel naso, nè siete atto a prendere una buona risoluzione. Or ditemi, qual vantaggio ritraete dai mali trattamenti che soffrite? Voi vi straziate pel riposo, il piacere e l’utile di gente che hanno in non cale i vostri servigi: se il