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rebbe. Quando gli narrai l’avventura degli elefanti, se ne meravigliò assai, e non l’avrebbe creduta, se non gli fosse stata nota la mia sincerità. Trovò egli cotesta storia e le altre che gli raccontai tanto curiose, che incaricò un suo segretario a scriverle in caratteri d’oro, per essere conservate nel real tesoro. Mi ritirai dunque contentissimo dell’onore e dei regali da lui ricevuti; poi mi dedicai per intero alla mia famiglia, ai parenti ed agli amici. —

«Qui finì Sindbad il racconto del suo settimo ed ultimo viaggio, e volgendosi poscia a Hindbad: — Or bene, amico,» soggiunse, «avete mai udito che alcuno abbia al par di me sofferto, e che verun mortale siasi trovato in imbarazzi più stringenti? Non è giusto che dopo tante traversie goda un po’ di vita amena e tranquilla?» Mentre finiva tali parole, Hindbad gli si avvicinò, e baciatagli la mano, disse: — Bisogna confessare, o signore, che provaste spaventosi pericoli; i miei guai non sono da paragonarsi ai vostri. Se mi affliggono quando li soffro, me ne consolo pel tenue profitto che ne ricavo. Voi meritate non solo una vita tranquilla, ma siete inoltre degno di tutti i beni che possedete, poichè ne fate sì buon uso, e siete tanto generoso. Continuate dunque a vivere allegramente fino all’ora della vostra morte. —

«Sindbad gli fece dare altri cento zecchini, lo accolse nel numero de’ suoi amici, e consigliatolo di abbandonare la sua professione di facchino, lo pregò di continuare a venir a pranzo in casa propria, avendo così occasione di ricordarsi per tutta la vita di Sindbad il navigatore.»

Vedendo Scheherazade che non era ancor giorno, continuò a parlare, e cominciò un’altra storia: