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«Ecco il gran monarca, il possente e formidabile sultano dell’Indie, il cui palazzo è coperto di centomila rubini, e che possiede ventimila corone di diamanti! Ecco il monarca coronato, più grande che mai non furono il grande Solima1 ed il grande Miragio2!» Pronunciate tali parole, l’officiale che sta dietro al trono grida a sua volta: «Questo monarca, sì grande e potente, deve morire, deve morire, deve morire!» L’officiale davanti ripiglia allora, e grida di nuovo: — Lode sia a colui che vive e non muore!
«D’altronde il re di Serendib è coìi giusto, che non v’hanno giudici nella sua capitale come neppure nel resto degli stati, non avendone i suoi popoli bisogno, sapendo essi ed osservando da loro medesimi esattamente la giustizia, e non iscostandosi mai dal loro dovere; laonde inutili sono appo di loro i tribunali ed i magistrati.» Fu il califfo soddisfattissimo del mio discorso, e disse: — La saggezza di quel re appare dalla sua lettera, e dopo quanto me ne avete detto, bisogna confessare che la sua sapienza è degna de’ suoi popoli, ed i suoi popoli degni di lei.» Indi mi congedò, rimandandomi con un ricco presente.
«Sindbad qui finì di parlare, ed i suoi uditori se ne andarono; ma Hindbad ricevette in prima cento zecchini. Tornarono poi il giorno seguente da Sindbad, il quale raccontò il suo settimo ed ultimo viaggio in questa guisa: