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suo padiglione. Fattili entrare ed accoltili con aspetto più ridente del solito, li colmò di lodi e di doni, e manifestando di non voler recarsi più oltre, comandò loro di salire a cavallo, e se ne tornò al palazzo.

Appena giunto, corse alle stanze della sultana, e fattala legare alla di lui presenza, la consegnò al gran visir coll’ordine di farla strozzare; il ministro obbedì, senza chiedere di qual delitto fosse rea. Ma quel supplizio non bastò a saziare l’ira del principe, che volle di propria mano tagliar il capo a tutte le donne della sultana. Dopo sì fiero castigo, persuaso che più non esistesse una donna saggia, deliberò di sposarne una ogni notte, e farla morire il giorno dopo, onde impedire ogni infedeltà. Impostosi legge sì crudele, giurò di metterla in esecuzione subito dopo la partenza del re di Tartaria, il quale non tardò molto a pigliar commiato, e mettersi in viaggio ricolmo di magnifici doni.

Partito Schahzenan, il sultano comandò al gran visir di condurgli la figlia d’uno de’ suoi generali. Ubbidì il visir, e il sultano, passata la notte con lei, al mattino gliela consegnò per farla strangolare, ordinandogli di cercargliene un’altra per la notte seguente.

Benchè il visir ripugnasse da tali comandi, egli fu costretto a sottomettervisi, essendo suo dovere obbedir ciecamente al sultano suo padrone; gli condusse pertanto la figlia d’un ufficiale subalterno, la quale fu pure messa a morte il dì appresso. Poi toccò alla figlia d’un cittadino; insomma ogni giorno eravi una sposa ed una donna uccisa.

La nuova di sì inaudita crudeltà sparse una generale costernazione nella città, e dappertutto erano gridi e lamenti. Qui un padre struggevasi in pianto per la perdita della figliuola, là tenere madri, temendo per le proprie pari destino, facevano rimbombar l’aria di