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a fare un sesto viaggio, malgrado le preghiere de’ miei parenti e degli amici, che fecero il possibile per dissuadermene.

«Invece di navigare pel golfo Persico, passai un’altra volta per varie province della Persia e dell’Indie; giunto ad un porto di mare, m’imbarcai sur un buon legno, il cui capitano era risoluto di fare una lunga navigazione. E fu lunghissima per verità, ma nello stesso tempo tanto infelice, che capitano e pilota smarrirono la strada, in modo da ignorare ove ci trovassimo. La riconobbero finalmente, ma non avemmo motivo di rallegrarcene gran fatto, ed un giorno estremo fu il nostro stupore al vedere il capitano abbandonare il suo posto, mandando orribili stride; gettò il turbante per terra, si strappò la barba, e si percosse la testa come uomo all’ultima disperazione. Domandatogli perchè si affliggesse tanto: — Vi annunzio,» rispose, «che ci troviamo nel sito più periglioso del mare. Una rapidissima corrente trasporta il vascello, e fra un quarto d’ora tutti periremo. Pregate Iddio che ci liberi da tale pericolo, a cui non potremo sfuggire, s’egli non ha pietà di noi.» Ciò detto, comandò di orientar le vele; ma i cordami si ruppero nella manovra, ed il naviglio, senza che vi fosse alcun rimedio, fu dalla corrente trasportato alle falde d’una montagna inaccessibile, contro la quale andò a frangersi in guisa per altro che, salvando le vite, ebbimo anche il tempo di sbarcare i viveri e le più preziose merci.

«Dopo questo, il capitano ci disse: — Dio ha fatto quanto gli è piaciuto. Noi possiamo scavarci qui la tomba, e darci l’estremo addio, che ci troviamo in luogo sì funesto, che niuno di quelli naufragativi prima di noi, se n’è tornato a casa sua.» Ci gettò quel discorso in un mortale abbattimento, ed abbracciandoci

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