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la libertà di chiedergli un giorno, perchè sua maestà non si servisse di quei comodi. Mi rispose parlargli io di cose d’ignoto uso ne’ suoi stati. Andai subito da un operaio, gli feci fabbricare il fusto di una sella, secondo il modello che gliene diedi, e terminato che fu, lo guarnii io stesso di borra e di cuoio, e l’adornai d’un ricamo d’oro. Mi diressi quindi ad un fabbro, il quale mi fece un morso della forma che gli mostrai ed un paio di staffe.

«Quando queste cose furono ben perfezionate, andai a presentarle al re, e le provai sur uno de’ suoi cavalli. Il principe lo montò, e rimase soddisfatto di quell’invenzione, attestandomene la sua gioia con molti regali. Non potei ricusarmi di fare parecchie selle pe’ suoi ministri ed i primari uffiziali della sua casa, i quali tutti mi fecero tali donativi, che in breve ne arricchii. Ne feci eziandio per le persone più ragguardevoli della città, che m’ ebbero in grande considerazione.

«Siccome io faceva assiduamente la mia corte al re, un giorno egli mi disse: — Sindbad, io ti amo e so che tutti i miei sudditi che ti conoscono, ti tengono caro a mio esempio. Debbo farti una preghiera, e bisogna che tu m’accorda quanto sono per domandarti. — Sire,» gli risposi, «non v’ha cosa ch’io non sia pronto a fare per attestar l’obbedienza mia a vostra maestà; ella ha su me un potere assoluto. — Voglio darti moglie,» replicò il re, «affinchè il matrimonio ti fermi nei miei stati, e non abbi a pensar più alla tua patria.» Non osando io contraddire alla volontà del principe, mi ammogliò ad una dama della sua corte, nobile, bella, saggia e ricca, nella cui casa stabilitomi dopo le cerimonie nuziali, vissi alcun tempo con lei in perfetta unione. Però non era troppo contento del mio stato, ed aveva in mente di fuggire alla prima occasione, e tornarmene a Bagdad, di cui la mia

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