Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
272 |
NOTTE LXXX
— Quelli che raccoglievano il pepe,» continuò Sindbad, «appena mi videro, mi vennero incontro, chiedendo chi fossi e d’onde venissi. Pieno di gioia all’udirli parlare il mio idioma, soddisfeci volentieri alla loro curiosità, raccontando in qual modo avessi naufragato su quell’isola, e com’era caduto in mano ai negri. — Ma quei negri,» dissero coloro, «mangiano gli uomini. Per qual prodigio siete scampato dalla loro crudeltà?» Feci ad essi la stessa relazione da voi testè ascoltata, e ne rimasero sommamente sorpresi.
«Restai con costoro finchè ebbero raccolta la desiderata quantità di pepe; poscia mi fecero salire sulla nave che li aveva condotti, e recatici ad un’altra isola, d’onde provenivano, mi presentarono al loro re, ottimo principe. Ebb’egli la pazienza d’ascoltare le mie avventure che lo sorpresero, e fattimi cambiar abiti, comandò di aver cura di me.
«Popolatissima era l’isola, ed abbondante d’ogni sorta di cose; facevasi poi un gran commercio nella città ove risiedeva il re. Quel grato asilo cominciò a consolarmi della mia disgrazia; e la bontà che quel generoso principe aveva per me, finì di rendermi contento. Infatti, non eravi alcuno che meglio di me fosse entrato nelle sue grazie, e per conseguenza nessuno c’era nella sua corte o nella città che non cercasse l’occasione di farmi piacere; talchè fra non molto fui considerato come nativo di quell’isola anzichè come straniero.
«Notai intanto una cosa che mi parve assai straordinaria: tutti gli abitanti, e lo stesso re, montavano i cavalli senza briglia, nè staffe; il che mi fe’ prendere