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coi nomi dei mercanti cui appartenevano, e domandando al capitano sotto qual nome voleva si registrassero quelle onde m’incaricava, questi rispose: — Scrivete sotto il nome di Sindbad il navigatore.» Non potei sentirmi nominare senza emozione, e guardando il capitano, lo riconobbi per quello che, nel mio secondo viaggio, aveami abbandonato nell’isola ove mi era addormentato in riva d’un ruscello, mettendo alla vela senza aspettarmi o farmi cercare. Non avealo ravvisato alla prima, a motivo de’ cangiamenti operatisi nella sua persona dal tempo che non lo vedeva.

«Quanto a lui, che mi credeva morto, non è maraviglia se non mi riconobbe. — Capitano,» gli dissi, «chiamavasi forse Sindbad il proprietario di queste balle? — Sì,» mi rispose, «ed erasi imbarcato sul mio vascello a Balsora. Un giorno che scendemmo sur un’isola per far acqua e prendere rinfreschi, non so per quale svista rimisi alla vela senza osservare ch’ei non erasi restituito cogli altri a bordo; e non ce ne accorgemmo, i mercanti ed io, se non quattro ore dopo. Avevamo il vento in poppa e sì forte, che ci fu impossibile il virare di bordo per andar a riprenderlo. — Lo credete dunque morto?» ripigliai io. — Oh certo,» aggiuns’egli. — Or bene, capitano,» soggiunsi, «aprite gli occhi, e ravvisato in me quel Sindbad che lasciaste nell’isola deserta. Io mi addormentai sulla sponda d’un ruscello, e nello svegliarmi, non vidi più alcuno dell’equipaggio.» A tali parole, il capitano si pose a guardarmi...»

Scheherazade, a questo passo, accorgendosi che albeggiava, fu costretta a tacere, ma la notte successiva riprese così la sua narrazione: