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nave assai da lontano. Gridai allora con tutte le forze per farmi udire, e spiegai la tela del turbante acciò potessero vedermi: riuscii nell’intento, chè tutto l’equipaggio mi scorse, ed il capitano mi mandò la scialuppa. Quando fui a bordo, mercadanti e marinai mi chiesero con premura per qual caso mi fossi trovato in quell’isola deserta; e quand’ebbi lor narrate le mie avventure, i più vecchi dissero d’aver più volte inteso parlare de’ giganti che dimoravano nell’altra isola; ch’erano stati assicurati essere coloro antropofaghi, che mangiavano gli uomini tanto crudi quanto arrostiti. Riguardo poi ai serpenti, aggiunsero esservene in copia in quell’isola, e che si nascondevano il giorno per uscire la notte. Attestata che m’ebbero la loro gioia al vedermi sfuggito a tanti pericoli, non dubitando non avessi bisogno di cibo, si affrettarono ad offrirmene; ed il capitano, osservato il mio abito lacero, ebbe la generosità di donarmi uno de’ suoi.
«Navigammo per qualche tempo, e toccate parecchie isole, approdammo infine a quella di Salahat, d’onde si trae il sandalo, legno di grand’uso in medicina. Entrati nel porto, si calarono le ancore, e tosto i mercanti cominciarono a far isbarcare le loro merci per venderle o permutarle. Frattanto mi chiamò il capitano, e disse: — Fratello, io ho un deposito di mercanzie appartenenti ad un negoziante, il quale per qualche tempo navigò sul mio bastimento. Ora, essendo egli morto, voglio smerciarle per renderne conto a’ suoi eredi quando ne incontrassi qualcuno.» Le balle, delle quali intendeva parlare, erano già sul ponte, e me le mostrò dicendo: «Ecco le mercanzia in discorso; spero vorrete incaricarvi di trafficarle, a condizione di ricavarne l’utile dovuto alle vostre fatiche.» Acconsentii, ringraziandolo di darmi così delusione di non restar ozioso.
«Lo scrivano della nave registrava tutte le balle