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rono incogniti il campo, e recaronsi al palazzo di Schahzenan; si coricarono, e sorto il mattino, si misero alla finestra d’onde il re di Tartaria aveva veduto la scena dei negri. Essi godettero alcun tempo della frescura, non essendo ancora alzato il sole, e favellando, volgevano sovente gli occhi dalla parte della porta segreta. Finalmente questa s'apri, e, per dirla in breve, apparve la sultana colle donne ed i dieci negri travestiti; essa chiamò Masud, ed il sultano ne vide più che non fu bisogno per convincerlo del suo disonore e della sua sventura. — Oh Dio!» sclamò; «quale perfidia! qual orrore! La sposa d’un sovrano par mio può ella rendersi rea di simile nefandità? Oh qual principe potrà ormai vantarsi d’essere perfettamente felice? Ah! fratello,» proseguì abbracciando il re di Tartaria, «rinunciamo entrambi al mondo; la buona fede ne è bandita; se da un lato egli vi lusinga, dall’altro vi tradisce. Abbandoniamo i nostri stati e lo splendore che ne circonda, ed andiamo in regioni straniere a trascinare vita oscura e nascondere il nostro infortunio.» Schahzenan, pur non approvando tale risoluzione, non osò combatterla nello stato di esacerbamento in cui vedeva il sultano. — Fratello,» disse, «la vostra volontà è anche la mia, ed io son pronto a seguirvi dove v’aggrada: ma promettetemi di tornare entrambi nei nostri regni, se n’accadrà d’incontrare qualcuno più infelice di noi. — Io ve lo prometto,» rispose Schahriar; «ma temo di non trovare alcuno che lo sia. — Su ciò io non sono dello stesso parere,» soggiunse il re di Tartaria; «e fors’anco non dovremo andar molto lontano.» Ciò detto, uscirono segretamente dal palazzo, e messisi per una via diversa da quella ond’erano venuti, camminarono fino a sera, e passarono la prima notte sotto alcune piante. Alzatisi sul far dell’alba, proseguirono il loro cammino finchè, giunti in un