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chiese dove avessi preso sì rare cose. Gli narrai per qual caso le avessi ricuperate; ebb’egli la bontà di dimostrarmene il suo contento, ed accettato il mio presente, me ne fece altri di maggior valore. Tolto quindi commiato da lui, tornai ad imbarcarmi sul medesimo bastimento, avendo prima permutate le merci che mi restavano con altre del paese. Portai meco legno d’aloè e di sandalo, canfora, noci moscate, chiodi di garofano, pepe, zenzevero. Passammo per varie isole, ed approdammo finalmente a Balsora, d’onde giunsi in questa città col valore di circa cento mila zecchini. La mia famiglia m’accolse, ed io la rividi con tutti i trasporti d’un’amicizia viva e sincera. Comperai schiavi dell’uno e dell’altro sesso, belle terre, e menai buona vita. Così stabilitomi, risolsi dimenticare i mali sofferti, e godere i piaceri della vita.

«Qui essendosi fermato Sindbad, ordinò ai suonatori di ricominciare le loro sinfonie, da lui interrotte col racconto della sua storia. Si continuò fino a sera a bere e mangiare, e quando fu tempo di ritirarsi, Sindbad, fattosi recare una borsa di cento zecchini, e dandola al facchino, — Prendete, Hindbad,» gli disse, «tornate a casa vostra, e venite di nuovo domani ad udire la continuazione delle mie avventure.» Il facchino si ritirò confuso dell’onore e del dono ricevuto. Il racconto che ne fece a casa sua, riuscì gradito a sua moglie ed ai figliuoli, i quali non mancarono di ringraziare il cielo del bene che la Provvidenza loro faceva per mezzo di Sindbad.

«Hindbad si vestì il giorno dopo più decentemente, e tornò dal viaggiatore liberale, che lo accolse con aria ridente, e gli prodigò mille carezze. Giunti tutti i convitati, si servì in tavola, e vi rimasero molto tempo. Finito il pranzo. Sindbad, volgendosi alla compagnia, cominciò: — Signori, vi prego di dar ascolto alle avventure del secondo mio