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«Spiegate le vele, prendemmo la strada delle Indie orientali pel golfo Persico, formato dalle coste dell’Arabia Felice a destra, e da quelle della Persia a sinistra, e la cui maggior larghezza è, secondo l’opinione generale, di settanta leghe. Fuori di questo golfo, il mare del Levante, lo stesso di quel delle Indie, è spaziosissimo, ed ha per confini da una parte le coste dell’Abissinia, e quattromila cinquecento leghe di lunghezza fino alle isole di Vakvak (1). Fui sulle prime incomodato dal così detto mal di mare: ma presto ne guarii, e da quel tempo non andai più soggetto a quella specie di malattia.

«Nel corso della nostra navigazione, approdammo a varie isole, e vendemmo o permutammo le nostre merci. Un giorno che veleggiavamo, ci sopraggiunse la bonaccia rimpetto ad un’isoletta quasi a fior d’acqua, la quale per la sua verzura somigliava ad un bel prato. Il capitano fece ammainar le vele, e permise di prender terra alle persone dell’equipaggio che vollero sbarcarvi. Ma mentre ci divertivamo a bere, a mangiare e ristorarci dalle fatiche sofferte, l’isola tremò d’improvviso, e ci diè una tremenda scossa....»

Qui Scheherazade si fermò, vedendo comparire il giorno, e sulla fine della notte seguente riprese così il racconto:


NOTTE LXXI


— Sindbad, proseguendo la sua storia, disse alla brigata: «I rimasti sul vascello si avvidero del tremar del-

  1. Quest’Isole, situate, secondo gli Arabi, oltre la China, sono così chiamate da una pianta che porta un frutto di tal nome. Probabilmente sono le isole del Giappone.